IL RAVIOLO:
UNA DISCUSSIONE DA INTAVOLARE
Di
Italie ce n’è tante. Per fortuna. Un milanese identico a un napoletano
farebbe orrore: al milanese, al napoletano, e agli altri italiani.
E
siccome gli incubi non vengono mai da soli (c’è sempre qualcosa che li
provoca), eccone un altro: ad un tratto le cucine regionali
spariscono. A Treviso e a Canicattì si mangia nello stesso identico modo.
Già
fatto, qualcuno dirà. La globalizzazione ha già massificato i sapori
(massificazione: un’orrenda parola che rimanda, in questo caso, a un
boccone di cibo colloso e supercompatto che non va né su, né giù).
Il
sapore è uguale per tutto. Di fronte a questo processo di
desertificazione delle tavole: davanti al progressivo scioglimento del
culatello popolare (si legga: della calotta polare), è il momento di dire
PASTA!
Un
grido di dolore che non va lanciato sommessamente, ma a voce piena.
L’esclamazione “Pasta!” deve essere ripiena. Ma di cosa?
Se
cerchiamo dei contenuti, possiamo tirare un sospiro di sollievo: perché la
pasta ripiena di contenuti ce ne ha tanti. Di tutti i generi (alimentari,
s’intende).
Non
si resti nel vago: come acutamente afferma Antonio Piccinardi nel suo
notissimo “Dizionario di Gastronomia” , “pasta ripiena è
un termine generico, molto usato nel linguaggio gastronomico, che indica le
forme particolari di pasta alimentare ripiene di carne o di altro (ravioli,
tortellini, cappelletti, anolini, tortelloni, agnolotti, tortelli,
cappellacci ecc.). Si tratta di preparazioni tradizionalmente fatte di pasta
fresca, sia artigianalmente che industrialmente. Il loro ripieno può essere
di ortaggi freschi o disidratati, o di carni fresche o preparate.”
I
nomi contenuti nella parentesi tonda terminano con un “ecc.”. Parolina
che contiene in sé ancora altri nomi, ed altri tipi di pasta ripiena.
Nel
gran calderone delle paste ripiene c’è dunque posto per tante paste
simili, eppure diverse. E viceversa. Così come, tra i membri di una
famiglia, le differenze possono cogliersi solo in quanto scarti da una
matrice comune.
E
come accade in tante famiglie, in cui più si è vicini, meno ci
si sopporta, certe paste ripiene, oltre al nome, si vantano di non
avere niente in comune: è il caso dei Comuni di Bologna e Modena.
Con
la stessa parola: “tortellino” i Bolognesi e i Modenesi alludono a
due prodotti che di identico hanno solo il nome. Su tutto il resto non c’è
accordo: a cominciare dalla loro origine, di cui entrambi i gonfaloni
rivendicano il copyright.
Per
metter pace, la Leggenda (molto più vecchia della Storia, e dunque
assai più saggia) ha fissato il luogo di nascita del tortellino a
Castelfranco Emilia, a metà strada fra Bologna e Modena.
La
festa del tortellini si celebra proprio là, a settembre, nel giorno
di San Nicola. Almeno in quest’occasione, tutto finisce a tortellini e
vino. Differenti, comunque: sia i tortellini che il vino.
Il
ripieno del tortellino bolognese differisce da quello del tortellino
modenese per i tipi di carne che ci sono dentro, e per le percentuali in cui
vengono impiegate: quanto al vino destinato ad accompagnare i
tortellini, a Bologna si raccomandano il Barbera e il Pignoletto, a
Modena si preferisce il Trebbiano.
E
il raviolo, dove lo mettiamo? In tavola, ovviamente, e poi nello stomaco,
passando goduriosamente per la bocca.
Prima
però guardiamo un po’ da dove viene: la voce “raviolo” sembra
provenire da “rabiola”, etimo medioevale dal latino “rapa”. Questo
perché anticamente il raviolo era un involucro di pasta ripieno di ricotta
e di foglie di rapa. Oggi, nel raviolo, alla ricotta (con o
senza verdure) si aggiunge anche la carne.
A
seconda delle regioni, le paste hanno denominazioni (e preparazioni)
diverse. A Parma, anolini; in Piemonte, agnolotti; in Carnia, cialzons; in
Lombardia agnoli, marubini (i ravioli cremonesi), e casonsei.
I
casonsei sono una pasta ripiena tipica della provincia di Brescia, a
forma di tubetto chiuso e ripiegato, come un piccolo calzone. Il
ripieno è a base di salumi, pane e uova.
Tra
nomi e tipi di ripieno, c’è da perdersi. I cappellacci sono di
Ferrara, e sono ripieni di zucca. I cappelletti (così chiamati per la forma
che ricorda un copricapo medioevale, e molto simili ai tortellini bolognesi)
sono di due tipi: quelli di Reggio Emilia, e quelli romagnoli, in cui ci
sono ben tre qualità di formaggio.
La
pasta ripiena non manca neppure in Sardegna: i ravioli sardi si chiamano
culingiones (o culurjones, ma anche cullurzones, a seconda delle località).
Di solito, ma non sempre, sono ravioli di magro; nel ripieno c’è il
famoso fiore sardo, formaggio di pecora molto fresco.
Insomma,
le paste ripiene sono un universo. In cui ci si diverte un mondo ad entrare,
per apprezzarne le sottili differenze regionali, e le sfumature di gusto.
Come
s’è visto, l’Italia è strapiena di paste ripiene. Che piacevano,
piacciono, e (a Dio piacendo) piaceranno
ancora.
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